Nato a Brusson il 2 giugno 1888 e rimasto orfano di madre due anni dopo, Vincent Berguet frequenta le scuole ad Aosta, dove abita presso uno zio. A diciassette anni torna a vivere ad Arcesaz, in Val d’Ayas, dove oltre a svolgere l’attività di maestro di scuola elementare, contribuisce all’economia domestica, aiutando il padre nel lavoro dei campi e nell’allevamento degli animali.
Nel 1910 sposa Sabine Grosjacques, dalla quale avrà sette figli fra il 1911 e il 1927; insieme alla moglie, segue anche, in qualità di tutore, tre cugini disabili. Nel marzo 1916, nonostante non sia più giovane, è richiamato alle armi: è arruolato in fanteria, nell’89° Reggimento della Brigata Salerno, reparto uscito pressoché distrutto dai combattimenti sull’Altopiano di Asiago e bisognoso di rincalzi. Dal distretto di Ivrea inizia un lungo periplo, che lo porta a uscire per la prima volta dalla Valle d’Aosta e a scoprire la Pianura padana e il Carso, dove trascorre diversi mesi in trincea. Ferito alla schiena, è trasferito in un ospedale di Ivrea, quindi a Genova, dove diventa, grazie alla sua bella grafia, segretario di un ufficiale medico, che accompagna sul fronte occidentale, in Francia e in Belgio, negli ultimi mesi di guerra.
Una volta smobilitato e rientrato ad Arcesaz, Vincent torna a fare il maestro sino al pensionamento, avvenuto nel 1963: la sua autorevolezza e la sua serietà gli varranno la medaglia d’oro e il titolo di Benemerito della Pubblica Istruzione e, soprattutto, il rispetto e il ricordo affettuoso dei suoi allievi.
Si spegne a novant’anni, il 31 gennaio 1978. Sul «Messager Valdôtain» viene ricordato come “un père de famille exemplaire, un homme de foi à toute épreuve, un chrétien qui a dépensé toute sa longue vie au bien des autres”, qualità che traspaiono nei sette quaderni di riflessioni e ricordi della sua esperienza bellica trascritti immediatamente dopo il rientro dal fronte.
L’urgenza della scrittura, il bisogno di raccontare e testimoniare sono propri di tanti poilus à carnet: i ricordi di Vincent Berguet si distinguono tuttavia per la profonda umanità e la ricchissima sensibilità del loro estensore, padre e marito amorevole, figlio devoto, cittadino esemplare, cristiano dalla fede saldissima.
Wilfred Owen
(1918)
La linea del fronte non toccò mai la Valle d’Aosta, ma la popolazione valdostana pagò un pesante tributo al conflitto. Più di 8.000 uomini, nati tra 1875 e 1900, furono arruolati e prestarono servizio in Italia, Albania, Francia e Grecia. Più di 1.500 tra loro non rientrarono a casa, caduti in battaglia, morti di malattia o in campi di prigionia i cui nomi divennero tristemente celebri dopo la Seconda Guerra mondiale, come Mauthausen.
I soldati non furono le sole vittime del conflitto: l’assenza degli uomini più giovani privò i campi delle forze migliori, costringendo donne, anziani e bambini a sforzi supplementari proprio quando le requisizioni dei prodotti agricoli e l’imposizione del calmiere privavano tutta la popolazione del cibo necessario. Così la fame si diffuse nella regione, indebolendo la popolazione, che cadde più facilmente in preda alle malattie.
In particolare, l’influenza spagnola imperversò in Valle d’Aosta tra 1918 e 1919, provocando un numero di vittime pressoché pari a quello dei Caduti sotto le armi: la guerra costò dunque più di 3.000 vite di Valdostani. Se si considera che il censimento del 1911 aveva registrato 81.457 residenti e che l’emigrazione aveva continuato a diminuire la popolazione fino al 1914, la regione perse quasi il 4% dei propri abitanti a causa della guerra. Questa cifra è superiore alla percentuale complessiva delle perdite italiane di almeno mezzo punto, rendendo il circondario d’Aosta una delle zone del Regno tra le più dissanguate dal conflitto.
Bisogna poi considerare che i morti furono soprattutto bambini e giovani ossia i rappresentanti delle generazioni più attive, destinate a prendere la guida della vita economica e sociale della Valle negli anni seguenti. Non fu dunque un caso se il censimento del 1921 registrò una flessione delle nascite e delle classi più giovani: la guerra creò un vuoto che fu riempito dagli immigrati provenienti dalle altre regioni d’Italia, all’origine del cambiamento demografico ed etnico che caratterizzò la storia valdostana del XX secolo.
La Valle d’Aosta nel 1915 è un circondario montano della provincia di Torino, abitata da meno di 80.000 persone, priva di industrie di rilievo e pressoché isolata dal resto d’Italia, al quale era collegata da un’unica strada e da una linea ferroviaria ad un solo binario, attiva da meno di trent’anni.
Le condizioni sociali sono quelle tipiche di una popolazione prevalentemente contadina, con una classe di artigiani, negozianti e piccoli commercianti relativamente numerosa e poche famiglie borghesi di funzionari pubblici. Le condizioni economiche non sono prospere: il censimento del 1911 aveva rilevato un decremento della popolazione, scesa al disotto dei livelli del 1861, a causa della generale crisi economica di fine Ottocento che aveva spinto all’emigrazione migliaia di persone in tutto il circondario, soprattutto tra le classi più giovani, tanto che ad Aosta i maschi tra i 25 e i 35 anni erano in numero inferiore a quelli di tutte le altre fasce d’età attiva.
Con la guerra la Valle subì una grande trasformazione: nel volgere di pochi anni sorsero fabbriche, canali e centrali idroelettriche, la cui costruzione attirò migliaia di immigrati dalle altre regioni d’Italia. La sola città di Aosta raddoppiò la sua popolazione tra il 1916 e il 1917. Questo cambiamento suscitò la reazione della popolazione locale, che subì l’arrivo degli operai italofoni come un’invasione, che si unì ai disagi dell’economia di guerra e favorì lo sviluppo di un sentimento di avversione nei confronti dell’Italia.
Circa 10 milioni di morti e un diluvio di fuoco senza precedenti che travolge tutte le principali potenze mondiali, dall’Europa agli Stati Uniti e al Giappone. La prima guerra combattuta su scala industriale con l’utilizzo di gas tossici, mitragliatrici, carri armati e aerei. Tutti pensavano che sarebbe stata breve e di movimento, mentre è durata quattro anni e si è subito trasformata in una guerra di posizione con migliaia di chilometri di trincee, gallerie e cunicoli scavati dall’Atlantico ai Balcani.
La Prima guerra mondiale ha 100 anni
1914
28 giugno: il principe ereditario dell’Impero austro-ungarico, l’arciduca Francesco Ferdinando di Asburgo, è assassinato a Sarajevo da uno studente nazionalista serbo. Un mese dopo l’Austria dichiara guerra alla Serbia.
1°- 4 agosto: prima della guerra, le grandi potenze europee sono divise in due campi contrapposti: da un lato Francia, Regno Unito e Russia che formano la Triplice Intesa e dall’altro la Triplice Alleanza che riunisce l’Impero tedesco, l’Impero austro-ungarico e l’Italia. In pochi giorni il gioco delle alleanze infiamma l’Europa intera: la Russia dichiara guerra all’Austria, la Germania alla Russia, la Francia alla Germania, la Germania al Belgio, il Regno Unito alla Germania.
12 settembre: la Francia riesce a fermare l’avanzata tedesca nella battaglia della Marna. Inizia la guerra delle trincee.
1915
24 maggio: dopo mesi di manifestazioni e di dibattiti tra interventisti e pacifisti, l’Italia dichiara guerra all’Impero austro-ungarico.
dal giugno 1915 al 31 agosto 1917: l’Esercito italiano, guidato dal generale Cadorna, tenta invano di conquistare il Carso e di raggiungere la città di Trieste.
1917
2 aprile: gli Stati Uniti entrano in guerra contro la Germania in risposta alla guerra sottomarina di quest’ultima.
24 ottobre: dopo la disfatta di Caporetto (dodicesima battaglia dell’Isonzo) le truppe italiane devono arretrare fino al Piave.
1918
3 marzo: la Russia e gli imperi centrali firmano il trattato di pace di Brest-Litovsk.
23-27 ottobre: gli italiani sfondano il fronte austriaco a Vittorio Veneto.
4 novembre: armistizio tra l’Italia e l’Impero austro-ungarico.
11 novembre: armistizio tra la Germania e i Paesi alleati.
"Beati i giovani che sono affamati e assetati di gloria, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché avranno da tergere un sangue splendente, da bendare un raggiante dolore." - Gabriele D’Annunzio, Discorso di Quarto, 1915
"Il primo fuoco tambureggiante ci rivelò il nostro errore, e dietro ad esso crollò la concezione del mondo che ci avevano insegnato. Mentre essi continuavano a scrivere e a parlare noi vedevamo gli ospedali e i moribondi; mentre essi esaltavano la grandezza del servire lo Stato, noi sapevamo già che il terrore della morte è più forte." - Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, 1929
Durante il primo conflitto mondiale migliaia di uomini come Vincent Berguet hanno dovuto lasciare le proprie case per spostarsi su fronti talvolta molto lontani. La Guerra è stata per molti anche la prima occasione di entrare in contatto con una modernità di cui avevano soltanto letto sui giornali.
Arcesaz
Frazione del Comune di Brusson, in cui si trova la casa di famiglia di Vincent Berguet.
Garlasco
Dopo l’arruolamento al Distretto di Ivrea, Vincent Berguet è trasferito nei pressi di Pavia per l’addestramento. Questo comprende marce ed esercitazioni di tiro, svolte in aperta campagna, dove reclute e richiamati sono ospitati in una cascina, trasformata in accampamento militare. Berguet osserva con attenzione la vita dei campi, diversa da quella in ambiente montano alla quale era abituato.
Il Carso
Il Carso è un altopiano di roccia calcarea che si estende sull’attuale confine italo-sloveno, tra Gorizia, Trieste e la penisola istriana. Divenne teatro di alcune delle più cruente battaglie della Prima Guerra mondiale, durante le quali il Regio Esercito Italiano tentò invano di superare le linee austroungariche per raggiungere Trieste e le vallate alle sue spalle, da dove dirigersi poi verso il centro dei domini asburgici. Le caratteristiche del suolo, poco adatto a scavare trincee profonde, resero i combattimenti particolarmente difficili e sanguinosi. Dopo essere sfuggito più volte alla morte, Vincent Berguet sarà ferito durante un bombardamento mentre si trovava in prima linea e trasferito a Genova per essere curato.
Genova
Durante la Grande Guerra, Genova è un centro fondamentale per lo sforzo bellico. Oltre al porto, il più vicino approdo al fronte per merci e uomini provenienti dalla Francia e dai Paesi atlantici, il capoluogo ligure ospita numerose industrie, tra le quali quelle del gruppo Ansaldo, tra i principali produttori di armamenti in Italia. La difesa del porto e il controllo sulle fabbriche accrescono la presenza militare, già rilevante per la presenza di caserme e di ospedali militari (come ad Aosta, viene requisito il Seminario per trasformarlo in convalescenziario per i feriti gravi).
Qui Vincent Berguet sarà curato e trascorrerà la convalescenza. In questo periodo scoprirà la vita in una grande città, così diversa da quella nel suo villaggio natale, e scriverà numerose lettere alla moglie raccontando del mare, dei tramway, dell’illuminazione elettrica che vede per la prima volta. Una volta ristabilito non verrà più rimandato sul Carso, ma sarà scelto da un ufficiale medico per accompagnarlo e fargli da segretario e traduttore sul fronte occidentale, al confine tra Francia e Belgio.
Il Fronte occidentale
Su entrambi i fronti si cominciarono a scavare trincee lungo la linea del fuoco, con camminamenti, rifugi e casematte. Dal Mare del Nord alle Alpi, fra uno schieramento e l’altro, si estendeva la terra di nessuno, martoriata dalle granate e continuamente contesa.
Così lo storico inglese Martin Gilbert descrive il teatro di guerra che vide gli eserciti di Belgio, Francia, Regno Unito e, dal 1917, Italia e Stati Uniti contrapposti a quello dell’Impero tedesco, tra la fine della Battaglia della Marna nel settembre 1914 e l’armistizio dell’11 novembre 1918. Si tratta del teatro di guerra più conosciuto, quello collegato nell’immaginario collettivo alla Grande Guerra: fango e filo spinato in uno scenario spettrale, privo di vegetazione, continuamente sconvolto dalle esplosioni e avvelenato dai cadaveri in decomposizione e dai depositi dei gas asfissianti.
Il Regio Esercito Italiano partecipò ai combattimenti su questo fronte con un primo contingente di circa 1.000 uomini, destinati a lavori nelle retrovie, già nell’estate 1917. Nella primavera 1918, invece, fu inviato il II Corpo d’Armata, forte di circa 30.000 uomini, che partecipò ai combattimenti fino all’armistizio e, successivamente, all’occupazione della regione tedesca della Saar. Gli ultimi reparti del Corpo d’Armata rientrarono in Italia ad agosto 1919.
Nel corso del conflitto, in tutti i Paesi coinvolti, la stampa ha un ruolo fondamentale: sono milioni i quotidiani, i periodici, i fogli distribuiti nelle trincee come nel resto della nazione – il cosiddetto “fronte interno” –, i biglietti lanciati dagli aeroplani sulle città come sui campi di battaglia.
In Italia la propaganda è vivacissima quando ancora il Paese non è entrato in guerra: interventisti e neutralisti si scontrano con veemenza nei comizi pubblici e sulle colonne dei giornali.
La propaganda interventista è particolarmente virulenta: i futuristi compongono opere e manifesti inneggianti alla guerra, “sola igiene del mondo”. Sulla rivista «Lacerba» i toni si fanno sempre più concitati, sino all’ultimo editoriale firmato da Giovanni Papini il 22 maggio 1915: intitolato Abbiamo vinto!, esso celebra l’entrata in guerra dell’Italia (in campo interventista queste giornate sono definite il “Maggio radioso”).
Nei mesi seguenti i messaggi veicolati dalla stampa a grande tiratura hanno l’obiettivo di persuadere i lettori ad agire nella direzione richiesta volta per volta dall’evolversi della situazione bellica: tranquillizzano le famiglie circa le condizioni di vita dei soldati, le invitano a sostenerli moralmente ed economicamente, denigrano il nemico.
Dopo la sconfitta di Caporetto, la propaganda viene organizzata in maniera più sistematica attraverso il Servizio P, che vede il coinvolgimento di numerosi intellettuali e artisti nella redazione dei giornali di trincea, nati con l’obiettivo di rivolgere il messaggio più efficace ai soldati impegnati sui vari fronti, alcuni più “caldi” di altri a seconda delle varie fasi del conflitto. Stampati nelle retrovie, i giornali di trincea potevano infatti rispondere direttamente alle esigenze delle diverse compagnie, con riferimenti puntuali a episodi noti spesso a un gruppo ristretto di militari.
Nella stampa dell’epoca un ruolo particolarmente importante svolgono il disegno e la fotografia, in grado di veicolare messaggi precisi ed efficaci anche agli analfabeti e ai semianalfabeti, che allora costituivano la metà della popolazione italiana. Nei giornali di trincea la componente grafica è predominante: il compito di disegnare le vignette e le copertine è affidato agli stessi illustratori che compongono le tavole destinate ai lettori del «Corriere dei Piccoli», anch’esse ormai orientate in senso bellicistico. Dalle stesse penne nascono così caricature sferzanti dei nemici per i soldati ed eroi da imitare per i ragazzi, messaggi edificanti e campagne denigratorie.
Memorabili sono rimaste le copertine disegnate da Achille Beltrame per la «Domenica del Corriere», supplemento illustrato del «Corriere della Sera»: attraverso tali illustrazioni Vincent Berguet – come molti altri soldati – aveva potuto conoscere gli aeroplani, che avrebbe visto per la prima volta solo al fronte.
Nel 1915, la stampa valdostana comprendeva cinque fogli settimanali : «La Doire», «Le Duché d’Aoste», «Le Mont-Blanc», «Le Pays d’Aoste» e «L’Écho de la Vallée d’Aoste», quest’ultimo pubblicato a Parigi. Ciascuna testata seguì con attenzione gli sviluppi degli avvenimenti successivi al giugno 1914, dimostrando progressivamente una certa simpatia a favore degli Stati dell’Intesa. Così, al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, i giornali locali si allinearono alle posizioni ufficiali del governo sostenendo lo sforzo militare italiano, pur mantenendo alcune differenze, derivanti dai rispettivi orientamenti ideologici.
Tre testate rappresentavano, infatti, il mondo cattolico e due le posizioni liberali e socialiste: il «Duché» era l’organo ufficiale della diocesi, il «Pays» lo strumento di monsignor Stévenin e l’«Écho» quello dell’abbé Petigat, cappellano degli emigrati valdostani a Parigi, mentre il «Mont-Blanc» e la «Doire» erano espressione dei gruppi anticlericali e massonici. Nonostante questa differenza, tutti misero le loro pagine a disposizione delle lettere dei Valdostani. Malgrado la censura, tutte le settimane i lettori trovavano, accanto al nome dei soldati caduti, gli scritti inviati dai soldati per rassicurare parenti e conoscenti. Nello stesso tempo, la stampa locale era per i Valdostani al fronte la principale fonte d’informazione per conoscere la vita in Valle. Come dimostrano i ringraziamenti pubblicati dai differenti giornali, ricevere una copia del «Duché» o del «Mont-Blanc» costituiva un vero momento di gioia e la prova che i soldati non erano stati dimenticati dai loro compatrioti.
Le jour 7 j'ai eu le plaisir de recevoir le premier journal «Le Duché d'Aoste» auquel j'étais abonné et voilà que je me passe un peu le temps en lisant ces lignes qui me transportaient avec l'imagination dans mon cher petit pays. - Vincent Berguet
La durata del conflitto e i milioni di persone coinvolte portarono allo sviluppo del servizio di Posta Militare. In un’epoca in cui lettere e giornali costituivano l’unica fonte di informazione per i singoli e le famiglie, assicurare l’arrivo della posta divenne presto uno strumento fondamentale per garantire il morale delle truppe e del fronte interno. In Italia, la Posta Militare interessava le truppe in zona di operazioni, i marinai imbarcati sulle navi da guerra e i militari delle Piazze Marittime di La Spezia, Venezia, Taranto e Messina-Reggio.
Il servizio era misto: per il flusso dalla zona di guerra – l’indirizzo obbligatorio con cui si scriveva ai soldati sia per motivi di segretezza sia per facilitare una prima separazione dalla corrispondenza per i civili – al Paese erano militari la raccolta e il trasporto ai centri principali di smistamento, sempre militare, dove la posta era bollata, controllata e sottoposta a censura, prima di passare al servizio civile per la consegna. In direzione contraria, dal Paese alla zona di guerra, la raccolta della corrispondenza era affidata alla Posta Civile, che recapitava le lettere ai centri di smistamento militare, che erano quotidianamente aggiornati sulla posizione dei reparti.
Nei centri, la posta era sottoposta a censura e bollatura, per essere poi avviata ai vari reparti per la consegna.
Il 23 maggio 1915 un Regio Decreto istituì la censura su tutta la posta, con esclusione della corrispondenza diplomatica e di servizio. Il sistema censorio dipendeva dal Servizio Informazioni del Comando Supremo Militare e prevedeva alcuni divieti: era vietato inviare illustrazioni con paesaggi o panorami di città, includere francobolli e marche con valori monetari, usare sistemi criptati di comunicazione e la stenografia. Le buste da censurare erano aperte e la stessa busta era ispezionata per accertare eventuali scritti interni, quindi venivano richiuse con fascette in nastro gommato prestampate con la scritta “VERIFICATO PER CENSURA”. A cavallo di questa fascetta era impresso il timbro personale del censore e quello della zona postale di appartenenza.
La guerra in trincea è diventata il simbolo della Prima Guerra mondiale, ma nessuno l’aveva prevista. Tutti gli eserciti erano preparati a una guerra di movimento, ma pochi mesi sono bastati per capire che la potenza delle armi moderne, in particolare le mitragliatrici, non permetteva più di lasciare i soldati allo scoperto. Una guerra difensiva e sotterranea sostituisce così le grandi manovre dei battaglioni.
I soldati si nascondono nelle trincee
Le trincee sono dei lunghi fossati scavati a zig-zag nei quali vivono e combattono i soldati. Sono formate da più linee distanti alcune centinaia di metri e collegate da lunghi e sinuosi cunicoli. Tra la prima linea e il nemico si estende la no man’s land (terra di nessuno) larga dai 50 ai 200 m, disseminata di reticoli di ferro spinato e cavalli di frisia dove si svolgono gli attacchi e dove numerosi soldati perdono la vita, spesso dopo una lunga agonia. Dalla prima linea si spara al nemico, i fanti partono all’attacco e si cerca di respingere gli assalti nemici in caso di attacco. Vi si trovano numerose postazioni di tiro e di vedetta, nidi di mitragliatrici e alcuni sommari ricoveri. Un po’ più indietro, la trincea di seconda linea serve da ripiego o di base per un contrattacco. Qui i ricoveri sono sovente profondi e coperti e si trovano anche postazioni mediche. Nelle retrovie si stabiliscono il posto di comando, i centri di rifornimento, gli ospedali da campo e gli accantonamenti per la truppa di ritorno dalla prima linea.
La position courait en un demi-cercle étroit autour du village auquel elle était reliée par une série de boyaux. [...] Pour arriver à la première ligne, la tranchée, nous entrons dans l’un des nombreux boyaux d’accès, destinés à permettre la marche à couvert jusqu’à la position de combat. Ces boyaux, qui ont souvent des kilomètres de long, mènent vers l’adversaire, mais pour éviter d’être pris en enfilade, ils sont tracés en zigzag ou en arcs de faible amplitude. - Ernst Jünger, Orages d’acier, 1960
Les Français ont d’abord creusé de simples trous individuels, reliés tant bien que mal entre eux. Face aux blockhaus allemands, ils se mettent à construire des positions en profondeur [...] La nature du sol joue un rôle important. Quand on ne peut creuser profondément, on édifie du côté de l’ennemi une banquette de tir. Dans les terrains humides, les parois sont renforcées par des claies et des fascines. La partie supérieure du parapet est consolidée par des sacs de terre. La défense immédiate de la tranchée est assurée par des réseaux de fil de fer barbelé et des chevaux de frise. - Jacques Meyer, écrivain et lieutenant au 329 Régiment d’Infanterie
Le trincee non sono soltanto una costruzione militare, ma un luogo di vita e impongono una gestione particolare della morte. Vivere nelle trincee significa sopravvivere.
Le condizioni di vita dei soldati in quest’ambiente sono estremamente dure: gli uomini soffrono per il freddo, devono sopportare i topi, le pulci, i parassiti, gli odori pestilenziali e la mancanza di igiene. La pioggia trasforma le trincee in fosse fangose, malgrado i graticci di legno.
Il mondo delle trincee è ritmato dal “cambio”: dalle retrovie, i reparti raggiungono la terza linea che occupano qualche giorno, prima di dare il cambio ai loro compagni della seconda e infine della prima linea. Passati dai tre ai cinque giorni, i soldati sopravvissuti tornano nelle retrovie per poi ripetere questo ciclo. Continuamente esposti al fuoco di artiglieria nemico, i militari in trincea passano la maggior parte del loro tempo a rinforzare le difese, scrivere alle loro famiglie, fumare o semplicemente aspettare che qualcosa accada.
J’ai eu faim sans avoir à manger, soif sans avoir à boire, sommeil sans pouvoir dormir, froid sans pouvoir me réchauffer, et des poux sans pouvoir toujours me gratter...voila ! C’est tout...? Non ce n’est rien, je vais vous dire la grande occupation de la guerre, la seule qui compte : J’AI EU PEUR. - Gabriel Chevallier, La peur, 1930
La boue s’infiltre partout, nous sommes en permanence couvert de ce liquide marron clair, nos godillots, nos poches, nos sacs en sont remplis ... quel enfer. Nos pieds nous font terriblement souffrir, à baigner pendant des jours et des nuits dans cette boue, ils finissent par pourrir. Certains hommes ne peuvent plus marcher. - Éric Viot, Les blessures de l’âme, 2007
Les tranchées de passage sont très étroites et on a peine à passer, tant plus qu’il y en a d’autres qui descendent. À certains points c’est à qui a plus de force pour pousser, on reste blottis un contre l’autre (...). Quelle vie, et pourtant dans la tranchée il semble d’être plus sûr, et puis où aller hors de tranchée ? Partout il y avait des réseaux, partout des obstacles. […] Heureusement nous sommes arrivés, nous trouvons des galeries assez profondes pour nous réparer [...] J’examine bien la situation et puis je pense que ça ne va pas, il arrive alors un boulet justement au devant de la galerie et coupe en deux un pauvre soldat qui était là étourdi, ne sachant bien de quelle côté tirer. - Vincent Berguet
dans le fonds de la tranchée et sous le terrain, on creuse de petites caves où un homme peut tenir couché, c’est pour se garantir des éclats d’obus. - Adolphe Wegel, poilu français
I nemici dei soldati sono numerosi. Nascosti nelle loro trincee sono alla mercé dei proiettili, delle bombe, delle mine, dei gas tossici:
un boulet, vient éclater à ma droite. Le coup est étourdissant, on reste pour un moment sourds et enveloppés dans une fumée si épaisse qui nous plonge presque dans l’obscurité complète, on respire avec fatigue un air qui presque asphyxie et sent horriblement de la poudre. [...] Et quand on ouvrait les yeux c’était l’horreur, partout on entendait des explosions, des plaintes, des cris, des invocations. Les boulets soulevaient dans les airs des masses énormes de pierres, on ne comprenait plus rien on aurait dit des trains voyageant dans les cieux.
J’arrive dans la première ligne ennemie et horreur ! [...] il y en a qui sont à demi ensevelis on voit paraître la tête et le buste, d’autres ont la tête et les jambes dans les matériaux et le corps en vu, par- ci par-là des pièces de chairs déchirées par un coup de gros calibre [...] - Vincent Berguet
Gli uomini sono anche vittime di ufficiali crudeli e spesso incompetenti:
J’ai vu des soldats qui pleuraient du mal aux pieds, marcher avec grande peine et des vilains officiers, des lâches, frapper du bâton ces pauvres malheureux qui restaient en arrière. [...] la vue de ces mauvais traitements te faisait presque perdre la raison. Il en avait déjà fait fusiller 14 et tous sans jugement, [...] à peine étaient-ils soupçonnés seulement d’être coupables. Et puis on nous disait parfois qu’il fallait combattre pour supprimer l’ennemi barbare. Et oui, il me semble souvent que des barbares nous en avions aussi chez nous. - Vincent Berguet
E le condizioni di vita sono terribilmente dure:
Après le repas je me tire derrière un buisson pour me débarrasser des animaux nuisibles qui ne me donnaient repos ni jour ni nuit. [...] on en avait partout, parfois en tranchée, durant les heures de beau soleil on voyait qu’ils montaient du terrain même à nos muletières. Vincent Berguet
Notre principale occupation fut de nous livrer à la chasse aux poux ; nous en portions des milliers sur nous. […] Les rats arrivaient affamés et par centaines dans nos abris. Si la nuit on n’avait pas la précaution de se couvrir la tête, plus d’un aurait ressenti au nez, au menton et aux oreilles les dents aiguës de ces maudites bêtes. Louis Barthas, Les carnets de guerre de Louis Barthas, tonnelier, 1978
Je n’ai pas faim, j’ai soif seulement. Le soir on descend remplir les bidons à l’étang ; il y a des cadavres qui pourrissent dans cette eau, on sent un goût de vase en la buvant, elle dessèche la langue au lieu de rafraîchir et on boit encore, encore. Jean Vergne, 24e Régiment d’Infanterie
Men marched asleep. Many had lost their boots
But limped on, blood-shod. All went lame; all blind;
Drunk with fatigue; deaf even to the hoots
Of tired, outstripped Five-Nines that dropped behind.
Gas! Gas! Quick, boys!
Wilfred Owen, Dulce et decorum est
Tra le caratteristiche più interessanti del diario di Vincent Berguet si trova l’amore per il paese natale. La Valle d’Aosta ritorna molto spesso nelle pagine del maestro, sia come ricordo della famiglia e dei luoghi a lui cari sia come ricerca continua dei Valdostani arruolati. Si tratta di un comportamento comune a tutti i testimoni che ci hanno lasciato la loro memoria sulla guerra. Già durante la spedizione di Libia, nel 1911-1912, i soldati valdostani, dispersi nei differenti reparti, amavano ritrovarsi per parlare in patois e cantare insieme. Così fu anche durante la Grande Guerra.
È possibile spiegare questo comportamento sia per il fatto che, prima del conflitto, la maggior parte dei combattenti non aveva mai lasciato il proprio paese natale sia per una particolare sensibilità, propria ai Valdostani. La prima caratteristica è propria agli eserciti di tutti gli Stati belligeranti, soprattutto per quelli in cui vigeva un reclutamento a base territoriale, come in Inghilterra o, in Italia, per gli Alpini. La seconda caratteristica, invece, documenta l’emergere di un fenomeno le cui conseguenze segnarono in modo rilevante la Valle d’Aosta del XX secolo.
Si tratta dello sviluppo del sentimento di Valdostanità ossia la presa di coscienza di una differenza tra i Valdostani e gli altri Italiani. La guerra rappresentò per centinaia di Valdostani, come Vincent Berguet, l’occasione per scoprire l’Italia, le sue città e i loro abitanti, ma nello stesso tempo questa scoperta permise loro di cogliere meglio le differenze che li separavano da essi.
Durante il conflitto, il peso della propaganda e le emergenze della lotta impedirono la trasformazione di questa nuova coscienza in un progetto politico, che poté invece svilupparsi nei decenni successivi, ponendo le basi per le rivendicazioni autonomiste e indipendentiste durante e dopo la Seconda Guerra mondiale.
Comme on se sentait bien quand on pouvait parler un peu de patois, il semblait pour quelques instants de se trouver au milieu de nos montagnes valdôtaines. C'étaient des illusions qui duraient cependant trop peu car ou l'éclat d'un boulet ou l'explosion d'un autre nous rappelaient bien vite que nous étions bien loin de là. - Vincent Berguet
Nei diari dei reduci come nelle opere dedicate alla Grande Guerra da poeti e scrittori impegnati al fronte è ricorrente, seppur espresso con stili e registri diversi, un ricordo intensamente fisico dell’esperienza bellica, declinato spesso attraverso i cinque sensi, come se i soldati dovessero far ricorso a tutti gli strumenti a loro disposizione per raccontare un mondo stravolto, rovesciato, sovvertito. Lo stesso Vincent Berguet rileva, a proposito dell’orrore provato alla vista della prima linea:
Je Vous dis, que pour décrire ça il faudrait avoir la plume d’un savant et quand même il ne réussira jamais à Vous faire prouver l’impression que nous avons subie nous qui sommes été témoins sensibles à tous ces tristes faits d’armes.
Vi proponiamo pertanto un breve percorso che mostra la trasversalità delle impressioni - visive, uditive, olfattive, tattili e gustative - subite al fronte.
Vers minuit, après avoir marché dans des routes presque impraticables, nous arrivons sur un promontoire où on dort encore dans des galeries, où on sent la poudre, la saleté, presque dirais-je, la mort.
Vincent Berguet
La guerra, nel ricordo olfattivo, vuol dire: l’odore del cuoio marcio. Quello del sudore. L’odore dell’escremento raffermo. Quello del sangue fresco sotto il sole, denso, dolce, un po’ nauseabondo. L’odore della putrefazione. L’odore dell’anice nella borraccia. L’odore delle sigarette Sport trovate nella trincea austriaca abbandonata, in pacchi semicircolari di carta marrone.
L’odore di pece arsa degli apparecchi Mazzetti-Niccolai contro i gas. L’odore di gomma del respiratore inglese. L’odore di mandorla pungente dell’iprite. L’odore della polvere bruciata. L’odore dell’erba, annusata la faccia contro terra, spiando la piega del terreno-riparo per il prossimo balzo.
Sergio Solmi, Ricordi del 1918, 1968
Il vento soffiava contro di noi. Dalla parte austriaca, ci veniva un odore di cognac, carico, condensato, come se si sprigionasse da cantine umide, rimaste chiuse per anni. Durante il canto e il grido dell’hurrà! sembrava che le cantine spalancassero le porte e c’inondassero di cognac. Quel cognac mi arrivava alle narici, mi si infiltrava nei polmoni e vi restava un odore misto di catrame, benzina, resina e vino acido.
Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano, 1938
Une odeur effroyable, une odeur de charnier, monte de toute cette pourriture. Elle nous prend à la gorge, et pendant quatre heures, elle ne nous abandonnera pas. Au moment où je trace ces lignes, je la sens encore éparse autour de moi qui me fait chavirer le cœur. En vain le vent soufflant en rafales sur la plaine s'efforçait-il de balayer tout cela : il arrivait à chasser les tourbillons de fumée qui s'élevaient de tous ces tas brulants ; mais il n'arrivait pas à chasser l'odeur de la mort
Lettre de René Jacob, Parole de poilu, 2012
Là nous arrive le rancio en pleine nuit, une misère de soupe où 4 pâtes nagent dans un quart de marmite d’eau, et pourtant c’est mieux ça que rien.
Pour nous désaltérer, nous avons dû boire d’eau mêlée de sang, d’ordure et que ne sais-je, car dans la confusion l’eau qui passait par nos habits et nos bottes elle retournait dans le réservoir et de là dans nos tasses. Et pourtant alors on remerciait Dieu de pouvoir trouver d’eau comme celle-là. […] figurez-vous quelle scarsité d’eau et quel besoin on sentait de se désaltérer quand un est obligé d’uriner dans une tasse et boire ça après y avoir mis un brin de sucre.
Vincent Berguet
L’anima del combattente di questa guerra è l’alcool. Il primo motore è l’alcool. Perciò i soldati, nella loro infinita sapienza, lo chiamano benzina. […] Eravamo tutti arsi dalla sete. Ad ogni istante, lungo la linea si vedeva qualcuno rovesciarsi sulle spalle, slacciarsi la borraccia e bere.
Emilio Lussu, Un anno sull’Altipiano, 1938
Il rancio e il caffé vengono cotti la notte, poiché il Comando brigata Piemonte ha proibito di accendere fuochi durante il giorno, e con ragione. Il caffé vien recato al crepuscolo mattutino, la carne cotta rimane là durante il giorno e recata col rancio di riso o pasta a notte fatta. Gli uomini rassegnati mangiano quindi, verso le 11 di sera, con fame lupina, e prendono il caffé verso le 5 di mattina.
C.E. Gadda, Giornale di guerra e di prigionia, 1955
Vers sept heures du matin, nous recevons du café, du vin gelé qui tinte dans les bidons et des boules de pain durcies, qu'on ne pouvait entamer qu'à la hache.
Gabriel Chevallier, La peur, 1930
Le 12 [novembre 1916] on voit une scène jamais bien vue ainsi jusqu’alors, les razzi s’élevaient à centaine, il y en avait de toutes couleurs, des blancs, des rouges, des verts, des bleus, c’était un mélange où on n’y comprenait rien. On conçoit que ce doit être le commencement de l’attaque ; mais on ne peut guère distinguer si ce soit de notre part ou non. Et ce soir [26 novembre 1916] au contraire nous sommes témoins d’un bombardement antiaérien, étant que quelques aéroplanes ennemis ont eu l’audace de vouloir pénétrer sur nos lignes. À peine sont-ils signalés que nos batteries antiaériennes entrent en action et on voit les obus éclater dans les ténèbres avec une succession de rapidité étonnante, les réflecteurs lancent des rayons qui tracent et sondent les ténèbres dans toutes les directions, pour chercher à poursuivre les pilotes ennemis et leur faire perdre l’orientation par les rapides mouvements et changements produits par l’ébaillante lumière des puissants réflecteurs. Tout ça aurait été un spectacle assez agréable pour un témoin qui eut été hors de danger ; mais pour nous qui étions sous les « bossoli » des obus qui retombaient avec une pression multipliée par la rapidité de précipitation c’était bien autre chose qu’agréable. - Vincent Berguet
Le ciel est étoilé par les obus des Boches
La forêt merveilleuse où je vis donne un bal
La mitrailleuse joue un air à triples-croches
Mais avez-vous le mot
Eh ! oui le mot fatal
Aux créneaux Aux créneaux Laissez là les pioches
Comme un astre éperdu qui cherche ses saisons
Cœur obus éclaté tu sifflais ta romance
Et tes mille soleils ont vidé les caissons
Que les dieux de mes yeux remplissent en silence
Nous vous aimons ô vie et nous vous agaçons
Guillaume Apollinaire, La nuit d’avril 1915, 1918
Poi scesero a destra per un costone, dove apparve ai loro occhi lo spettacolo della prima linea. I fuochi delle bombarde, dei razzi, dei riflettori, scaturivano da ogni parte trasformando la notte in giorno. - Prežihov Voranc, Doberdò, 1940
Des poux il y en avait partout, par terre, dans les lits, sur les planches et dans toutes les coutures de nos induments. Ce furent ces pauvres animaux qui ne nous quittèrent plus et qui eurent l’honneur d’être appelés « les petites bêtes qui rendent l’homme honorable » car les messieurs embusqués n’en avaient pas et ce n’étaient que les pauvres poilus qui les possédaient […]. Après le repas je me tire derrière un buisson pour me débarrasser des animaux nuisibles qui ne me donnaient repos ni jour ni nuit. Je veux faire l’expérience de les compter une fois et en moins d’une heure j’en tue plus de 300. C’est étonnant et si j’en eusse été le témoin sensible presque je ne pourrais en croire à mes yeux […]
Il faut sauter comme des grenouilles d’un gazon à l’autre, car si on trompe malheureusement un pied il n’est plus facile de se relever, on enfonce dans une boue qui attache, qui vous tire.
Vincent Berguet
Mi sono coricato sui sassi fangosi, e topi, come gatti mio caro, mi passavano addosso come fossi stato casa loro, e i pidocchi, graziose bestioline, un po’ torpide ma tenaci come tedeschi, e Carcoline trasparenti […] mi mangiavano allegramente.
G. Ungaretti, lettera a C. Carrà, 26 febbraio 1917
In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba
Ungaretti
uomo di pena
ti basta un’illusione
per farti coraggio
Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia
Valloncello dell’Albero Isolato il 16 Agosto 1916
G. Ungaretti, Pellegrinaggio
Quella pietraia – a quei tempi resa, dalle spalmature appiccicose di fango colore come d’una ruggine del sangue, infida a chi, tra l’incrocio fitto del miagolio delle pallottole, l’attraversava smarrito nella notte – oggi il rigoglio dei fogliami la riveste.
G. Ungaretti, Il Carso non è più un inferno, 1966
Tout à coup l’artillerie se mêle, et les coups des canons se répétaient avec une fureur inouïe, ça semblait une fusillade tant les coups se succédaient avec rapidité. C’était épouvantable à voir, il y avait autre qu’une vampade de feu qui éclatait partout, en l’air en terre, avec un fracas infernal, il semblait d’entendre un énorme tambour qui roulait à toute volée.
Vincent Berguet
Un bruit diabolique nous entoure. On a l’impression inouïe d’un accroissement continu, d’une multiplication incessante de la fureur universelle. Une tempête de battements rauques et sourds, de clameurs furibondes, de cris perçants de bêtes s’acharne sur la terre toute couverte de loques de fumée, et où nous sommes enterrés jusqu’au cou.
Henri Barbusse, Le Feu, journal d'une escouade, 1916
Le cri le plus affreux que l’on puisse entendre et qui n’a pas besoin de s’armer d’une machine pour vous percer le coeur, c’est l’appel tout nu d’un petit enfant au berceau : “- Maman ! maman !…” que poussent les hommes blessés à mort qui tombent et que l’on abandonne entre les lignes après une attaque qui a échoué et que l’on reflue en désordre.
Blaise Cendrars, La main coupée, 1946
O ferito laggiù nel valloncello
Tanto invocasti
Se tre compagni interi
Cadder per te che quasi più non eri,
Tra melma e sangue
Tronco senza gambe
E il tuo lamento ancora,
Pietà di noi rimasti,
A rantolarci e non ha fine l’ora,
Affretta l’agonia,
Tu puoi finire,
E conforto ti sia
Nella demenza che non sa impazzire,
Mentre sosta il momento,
Il sonno sul cervello,
Làsciaci in silenzio –
Grazie, fratello
Clemente Rebora, Viatico
Alla fine della guerra tutti i reduci hanno lo stesso parere di Vincent sulle atrocità della guerra e si augurano che tutto questo non accada più:
Tu es encore bien jeune et ne peux comprendre ce qui se passe en ce moment : la guerre, ses horreurs, ses souffrances. Cette carte sera un souvenir de ton père, et il souhaite qu’à l’avenir les hommes soient meilleurs, et que semblables choses ne puissent plus arriver.
Joseph Thomas, poilu français mort à Verdun le 30 mars 1916, Paroles de poilus, 2012
Purtroppo, però, passeranno soltanto 20 anni prima che scoppi un altro conflitto mondiale. Anche il figlio di Vincent, Francesco, carabiniere nelle colonie dell’Africa Orientale Italiana, conoscerà la guerra e la prigionia. Catturato dagli Inglesi allo scoppio della Seconda Guerra mondiale e deportato, assieme a tutti i militari e i civili maschi adulti, in campi situati in altre zone dell’Africa, oppure in India, anch’egli scriverà alla famiglia e la censura aprirà anche le sue lettere...
Je souhaite, mes enfants, que quand vous aurez la capacité de lire et de me comprendre vous puissiez vivre une ère plus tranquille et plus libre et je souhaite que d’ici là le monde puisse connaître et corriger ses fautes.
Tâchez mes enfants chéris, tâchez de vous aimer toujours sincèrement, agissez autant que possible de sorte à éviter le mal et si le malheur vous forcera à y tomber, sachez le supporter avec la même résignation avec laquelle je l’ai supportée moi-même, et sachez toujours espérer dans une bonté suprême qui vous aidera à sortir du mal pour être préparés à jouir du bien. Sachez toujours pardonner à ceux qui pourraient manquer vers vous, afin d’éviter que le mal s’agrandisse au lieu de disparaître et apprenez surtout à respecter tout le monde. Vous serez ainsi à votre tour plus facilement respectés et heureux en même temps, et vous rendrez aussi heureux vos parents, surtout votre dévoué papa, qui a eu la chance de surmonter les dangers et vous reporter son amour.
Vincent Berguet
Crediti fotografici e video:
- Collezione privata Berguet
- RAVA: fondi AVAS/Ronc-Ardisson, Baccoli, Brocherel- Broggi, Domaine, Herbet, Istria, Martinet
- France Culture
- ONFR+ - La plateforme d’information franco-ontarienne
- France TV éducation
- Centenario GrandeGuerra
- Forum en clips
- 20MinutesFR
- La 1ère Guerre mondiale
- C'est pas sorcier. La chaine officielle de l'émission de France 3
- Ministère des Armées
- www.idello.org;
- Museo della Guerra Rovereto
- Julien Ohayon
La mostra La Grande Guerra di Vincent Berguet. Un maestro valdostano al fronte è stata presentata al pubblico a Morgex, presso la Tour de l'Archet, e alla Maison La Tour di Verrès durante l'inverno e la primavera 2019.
Il suo allestimento è stato l'occasione di numerosi e felici incontri. Innanzitutto, quello tra la famiglia Berguet, che ha custodito con rispetto tutti i ricordi dell’avo, e le fondazioni Chanoux e Sapegno alle quali si è rivolta per valorizzare al meglio questo materiale.
Vincent Berguet aveva dedicato la sua vita all’insegnamento e, a cento anni dalla fine della Prima Guerra mondiale, si è subito pensato a una mostra, dedicata soprattutto ai più giovani, che potesse raccontare il conflitto dal punto di vista di un semplice soldato valdostano come era stato Vincent.
Entrambi gli istituti hanno lavorato con entusiasmo a questo progetto, ma un risultato simile non sarebbe stato possibile senza la collaborazione di un gruppo di studenti del liceo classico di Aosta che, nell'ambito di un progetto di alternanza scuola-lavoro, hanno trascritto i diari di guerra con scrupolo e dedizione.
Infine, la mostra ci ha permesso di incontrare studenti valdostani, francesi e un pubblico numeroso durante le visite guidate e le attività didattiche.
Questa visita virtuale ci permette di continuare a condividere il nostro lavoro.
Ringraziamenti:
Renato e Giuliana Berguet, con i loro parenti
Francesca Berti, Samuele Campolo, Vanessa Casetta, Giulia Diemoz, Sylvie Dufour, Mikael Faa, Francesca Franco, Amandine Guala, Sophie Pellu, Chiara Pietripaoli, per la trascrizione
La Regione autonoma Valle d’Aosta, che ha messo a disposizione le foto tratte dai Fondi AVAS/Ronc-Ardisson, Baccoli, Brocherel- Broggi, Domaine, Herbet, Istria, Martinet
La Biblioteca Regionale Bruno Salvadori per il prestito di alcuni giornali dell’epoca. L’intera collezione della stampa valdostana anteriore al 1948 è reperibile sul sito www.cordela.regione.vda.it
Valerio, Claudia, Alessia e Francesco della Digival per la collaborazione, la pazienza e l’inventiva.